Giunti alla fine della mulattiera, troviamo un’altra figura che ha santificato la sua vita sulle orme di San Gerolamo: Caterina Cittadini.
Anche lei, insieme a sua sorella, fondò un istituto ed un ordine delle Suore Orsoline di San Gerolamo di Somasca. Qui, è possibile visitare il museo Le Sorgenti, su appuntamento.
Sempre qui, scendendo a destra, possiamo visitare la casa di San Gerolamo ed arrivare alla Basilica di San Bartolomeo. Fino a poco tempo fa era ancora possibile vedere il leone di S. Marco sopra i portoni delle case e dei palazzi.
Se prendiamo a sinistra, ci incamminiamo in mezzo alle case sulla via San Gerolamo che ci conduce alla Valletta. Giungiamo ad uno spiazzo con un arco da cui parte la “Via delle Cappelle”. Entriamo in questo sentiero storico iniziato nel 1702 e via via completamente lastricato ed arricchito con cappelle che riproducono i momenti più importanti della vita del Santo. Ogni cappella ricostruisce con cura alcuni momenti vissuti da San Gerolamo. Ambientazioni con statue, com’era consueto a quei tempi, in modo che tutti, anche analfabeti, potessero comprendere i momenti più significativi della vita e del messaggio di San Gerolamo. Le Cappelle sono dieci ma a metà strada è situata anche la Scala Sacra, da percorrere in ginocchio, per ottenere l’indulgenza plenaria.
Alzando lo sguardo, possiamo ammirare subito lo sfondo manzoniano e soffermarci su uno sperone del Magnodeno, sul quale giace l’eremo di S. Gerolamo.
3° tappa La Valletta
Al termine del viale, si arriva alla Valletta, dove San Girolamo abitava con i suoi orfanelli. In questo luogo si possono ammirare l’ultima cappella che rievoca la morte di San Girolamo ed il piccolo cimitero in cui riposano alcuni padri somaschi.
Ancora qualche gradino e giungiamo alla seconda piazzola dove ci attende la Chiesa della Risurrezione e della Cappella di San Gerolamo, una grotta naturale che un tempo fungeva da eremo e attorno alla quale è stata costruita la chiesa stessa. A lato della cappella vi è la Sala della Fonte. Secondo la tradizione qui San Gerolamo, fece scaturire acqua viva per gli orfanelli durante un periodo di siccità.
Una breve pausa e continuando saliamo in fondo al complesso religioso. Una porta ci permette di entrare in un’altra vallata e di salire verso la Rocca, che secondo gli studiosi di topografia manzoniana, era la Rocca dell’Innominato.
Qui San Girolamo aveva sistemato definitivamente il suo orfanotrofio. Attraverso un sentiero a gomiti e a giravolte in mezzo al verde del bosco, si arriva al recinto del castello.
4° tappa
Il Castello dell’Innominato incute ancora un certo timore.
Dall’alto del castellaccio, come l’aquila dal suo nido insanguinato, il selvaggio signore dominava all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né più in alto.
Da qui era facile controllare il confine tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia. L’inquietante Innominato, che gli storici hanno individuato nella figura realmente esistita di Francesco Bernardino Visconti, viveva proprio qui.
È il burattinaio che muove le fila dell’intera vicenda, il potente nobile senza nome a cui il signorotto Don Rodrigo chiede aiuto per il rapimento di Lucia. Così come il proprietario, anche il castello in cui si rifugia non viene espressamente identificato nel romanzo. Dell’antica fortezza si conserva la cinta muraria, parte dei bastioni difensivi e alcune torri.
Più sotto, dall’altro lato, è visibile la cascina della bicocca, in altri tempi “la taverna della Malanotte”. Dall’area si gode di una straordinaria vista sul lago di Como e sul corso dell’Adda verso la Brianza.
5° tappa
Scendiamo al borgo di Chiuso dove troviamo la dimora del “sarto” che ospitò Lucia e Agnese perseguitate da Don Rodrigo.
Situata nel rione di Chiuso, è un esempio di architettura rurale del Seicento, oggi ristrutturata, con un bel portale in pietra. Qui avrebbe vissuto il sarto che accolse Lucia liberata dal castello dell’Innominato.
Per capire chi è il “Sarto”, a cui è intestata la via, chiediamo aiuto al nostro amico:
«[…] Finalmente il baroccio arriva, e si ferma alla casa del Sarto. Lucia, s’alza precipitosamente; Agnese scende, e dentro di corsa: sono nelle braccia l’una dell’altra. […] Le due donne, in que’ pochi giorni ch’ebbero a passare nella casuccia ospitale del Sarto, avevan ripreso, per quanto avevan potuto, ognuna il suo antico tenor di vita. Lucia aveva subito chiesto da lavorare; […]»
Come si può ben capire le parole sono quelle del Manzoni che scrive della liberazione di Lucia dalla sua prigionia presso il castello dell’Innominato. Il “Sarto” non è altri che il personaggio che ospita e tiene al sicuro Lucia e Agnese nei giorni successivi alla liberazione, prima della peste e soprattutto prima del trasferimento a Milano.
Altri punti di interesse nella via del Sarto sono sicuramente la chiesa di Santa Maria Assunta. La sua importanza è dovuta non tanto all’edificio religioso in sé, ma alla presenza della canonica, un tempo casa del Beato Serafino Morazzone. Oggi ospita un piccolo museo che raccoglie i ricordi del Buon Curato di Chiuso beato Serafino e le testimonianze dei cordiali rapporti tra lui e Manzoni. Qui si svolse il drammatico incontro tra l’Innominato, disceso disperato dal suo castello dove tiene prigioniera Lucia, e il cardinale Federigo Borromeo, in visita pastorale alla piccola parrocchia di Chiuso (cap. XXIII dei “Promessi Sposi”). Nella sala principale del museo si può ammirare un affresco di Casimiro Radice del 1867 che rappresenta la scena della conversione dell’Innominato, proprio nella canonica dove sarebbe avvenuta.
A qualche centinaio di metri, seguendo la via Don Serafino, giungiamo alla chiesa del Beato Serafino. Non v’è dubbio che Chiuso sia il paese della conversione dell’Innominato, per la ragione che nella prima edizione il Manzoni lo nominava espressamente. È l’unico paese del territorio che non è soggetto alla pieve di Lecco e la disposizione della chiesa e della casa parrocchiale presentano i particolari indicati nel romanzo.
Edificata in prossimità dell’antico confine tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia, su un preesistente edificio del XIII secolo, subì rifacimenti nel corso del XVII, a causa delle continue incursioni militari, data la stretta vicinanza con il confine.
Di grande qualità artistica è il ciclo pittorico affrescato nell’abside, di cui l’arcata dipinta è riferibile al XV secolo e attribuibile ad un ignoto maestro influenzato dalla cultura figurativa bresciana, anche se altre interpretazioni rimandano ai Baschenis della Val Averara. Gli affreschi rappresentano la Crocifissione sulla parete di fondo, Cristo Pantocratore circondato dai Dottori della Chiesa sulla volta, e i Profeti nell’intradosso dell’arco. Questa chiesa conserva le spoglie di Don Serafino Morazzone che fu qui parroco, dal 1773 al 1822 e ricordato dal Manzoni nella prima versione del romanzo Fermo e Lucia.
Non possiamo parlare di itinerario manzoniano senza una tappa alla casa della famiglia Manzoni per ben due secoli e che vide crescere il giovane Alessandro. Dimora che lo scrittore fu poi costretto controvoglia a vendere.
6° tappa
Prendiamo l’autobus che ci porta a Lecco presso Villa Manzoni.
La villa, oggi museo manzoniano, è il luogo dove Alessandro ha vissuto gli anni dell’infanzia ed adolescenza con il padre Pietro Manzoni. Questi luoghi, il lago, le montagne che poteva ammirare dalle finestre della villa lo hanno ispirato per ambientare poi I Promessi Sposi proprio su “quel ramo del lago di Como …“.
Qui è possibile assistere alla visione di un video che racconta in dettaglio la storia della dimora della famiglia Manzoni.
Caratterizzano la villa, a piano terreno, gli ambienti di vita famigliare e i rustici delle scuderie. Nel perimetro è compresa la neoclassica cappella dell’Assunta, dove riposano le spoglie del padre del poeta, Pietro Manzoni, morto nel 1807. Nella villa si trova anche la Pinacoteca comunale ricca di dipinti di Scuola Lombarda del ‘600 e ‘700, nature morte, ritratti dell’ottocento, ecc… Sono esposti inoltre vari quadri del lecchese Carlo Pizzi dedicati alla Città. Pitture e sculture contemporanee da Dorazio a Baj a Cavaliere donate da un gruppo di “Amici del Museo”.
Notevole è il salone centrale, con decorazioni classicheggianti, da alcuni attribuite a rimaneggiamenti voluti dallo stesso romanziere. Nelle sale sono custoditi vari ricordi di famiglia, manoscritti autografi, libri originali e tanti altri oggetti relativi alla sua vita e alle sue opere. Le diverse edizioni dei Promessi Sposi, gli oggetti personali dello scrittore e persino la sua culla in vimini. Sul fronte del palazzo è murata una lapide a firma di Cesare Cantù:
ALESSANDRO MANZONI IN QUESTA VILLA SUA FINO AL 1818 SI ISPIRAVA AGLI “INNI” ALL’”ADELCHI” AI “PROMESSI SPOSI” OVE I LUOGHI, I COSTUMI, I FATTI NOSTRI E SE STESSO IMMORTALAVA.
7° tappa
Impossibile tralasciare il borgo di Pescarenico. Con le sue viuzze e le case addossate le une alle altre, pare tornare al XVII secolo, quando il rione era popolato da pescatori. Il Manzoni, che ben conosceva queste zone perché confinanti con la proprietà di famiglia, citò espressamente il nucleo di Pescarenico nel suo romanzo.
“E’ Pescarenico una terricciola, sulla riva sinistra dell’Adda, o vogliam dire del Lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti tese ad asciugare…”.
Scendiamo seguendo via Arlenico e poi via Ghislanzoni verso Pescarenico. Figura fondamentale nel romanzo manzoniano, Fra Cristoforo è un frate cappuccino ed il suo convento è più volte menzionato dal Manzoni stesso. La chiesa, dedicata ai Santi Lucia e Materno, è ancora oggi presente, con la costruzione originaria che risale alla seconda metà del Cinquecento. La prima pietra fu posta per volere del governatore della piazza di Lecco D. Giovanni Mendozza, Cavaliere di S. Jago. Questi ottenne di poter fabbricare un convento che desse ai Cappuccini “maggior comodità di alloggiare nei passaggi che facevano venendo da Bergamo per andare a Como o a Domaso”.
Del vecchio convento rimangono il cortile e alcune celle, oltre alla stanza dove fu ospitato per anni Antonio Stoppani, geologo lecchese. Il caratteristico campaniletto a sezione triangolare fu ricostruito circa il 1715. Di questa si possono ancora ammirare l’altare ligneo ed alcune rare opere d’arte del ‘600. Si tratta di nove casette di vetro contenenti composizioni in cera policroma riferibili alla cultura napoletana del tardo Seicento. Rappresentano sette scene di vita di Cristo e della Vergine e due scene della vita dei Santi Francesco e Chiara. All’interno una splendida pala dipinta da Giovan Battista Crespi detto Cerano (1600) illustra i patroni Francesco e Gregorio Magno adoranti la Trinità.
Nella piazza Fra’ Cristoforo è visibile un Ossario del 1699 con i resti dei frati francescani morti di peste. A pochi passi, in direzione del fiume Adda, sorge il villaggio dei pescatori attorno all’antica piazza Era. Dall’epoca della descrizione del Manzoni, ben poco v’è di cambiato. Qualche casa abbellita e alcuni nuovi edifici danno un tono più moderno a questo lembo della vecchia Lecco. Le stesse vie e le casette con ballatoi esterni di legno e brevi cortili, vi imprimono una speciale attrattiva.
Dalla riva si può vedere l’Isola Viscontea ed il Ponte Vecchio, ovvero il ponte Azzone Visconti, duca di Milano, che lo fece costruire nel 1300 insieme alle mura per fortificare il borgo di Lecco. Sullo sfondo, l’altissimo campanile della Basilica San Nicolò di Lecco che è stato eretto su un torrione circolare costruito nel Quattrocento nel perimetro della cinta muraria voluta da Azzone Visconti. Tralasciamo l’itinerario che si svolge nei rioni della parte alta della città. I luoghi descritti nel romanzo sono visibili solamente dall’esterno, in quanto si tratta di edifici appartenenti a privati.
Per chi volesse avventurarsi, un breve cenno che il Manzoni descrisse nel suo romanzo. Dal tabernacolo, dove avvenne l’incontro del povero Don Abbondio con i Bravi, alla chiesa di Olate ed alla presunta casa dove, sembra, sia nata Lucia e dove la leggenda dice che i due promessi si sarebbero sposati, un edificio risalente al XVII secolo. Nel limitrofo rione di Acquate c’è un’altra casa tradizionalmente attribuita a Lucia. Dalla casa si può vedere il Palazzotto di Don Rodrigo il quale “sorgeva isolato, a somiglianza di una bicocca, sulla cima di uno di quei poggi ond’è sparsa e rilevata quella costiera…”.
Un signorotto potente solo all’interno della sua casa. Risalente al ‘500, fu costruito dai nobili Arrigoni di Introbio, potente famiglia protagonista di una lunga faida contro la casata Manzoni. II palazzotto appariva nella identica descrizione de’ “I Promessi Sposi” sino al 1938, data dei rifacimenti, che ampliarono la torretta, ricostruendola più bassa, e le finestre come appaiono tuttora in stile razionalista.
Per il rientro proponiamo due alternative.
- Per coloro che sono stanchi, c’è l’autobus n° 1 con capolinea in località Chiuso. Da Chiuso si prosegue a piedi fino a raggiungere il semaforo di Vercurago, indi si piega a destra e si raggiunge il parcheggio.
- Per gli altri proponiamo la camminata lungo la ciclopedonale dell’Adda che ci riporta a Vercurago contemplando la natura e la bellezza!
Un piccolo gioiello, lungo il corso del fiume Adda, che offre una splendida vista sulle montagne che incorniciano il territorio.
Se ci guardiamo intorno vediamo un territorio austero dominato dal profilo di montagne portentose che fanno da sfondo costante al panorama, fra tutte il Resegone, e che raggiungono il massimo della spettacolarità nel loro precipitare netto sulle sponde del lago.
Lungo tutto l’itinerario, sono presenti ristoranti, trattorie, pizzerie dove potete assaggiare le specialità gastronomiche locali.